LA GESTIONE E LA TRASFORMAZIONE DEI CONFLITTI DI COPPIA
A tutte le coppie
capita di litigare, ma di norma la cosa si risolve senza danni né psicologici
né fisici. Il conflitto è un fenomeno spiacevole, ma temporaneo: è un processo dinamico, necessario e
fondamentale, e non è forzatamente l’inizio di un’incomprensione o di una
rottura. Molto spesso è l’occasione per la coppia di ristrutturare il suo
funzionamento attraverso la gestione creativa del conflitto e di conservare
nella relazione parità e simmetria tra i due partner (Jean George Lemaire).
* * *
VITA DI COPPIA E TRASFORMAZIONE
DEI CONFLITTI IN OPPORTUNITA’
di
Alfredo Feretti *
La Val Pusteria: una natura da urlo, tanto è bella e carica di numinosum,
indecifrabile presenza di un’armonia da contatto. Ti avvolge e travolge i
sensi, tutti i sensi, con quella sottile seduzione che penetra e disarma le
difese eroiche di noi impenitenti cittadini.
Ero lì, l’estate scorsa, in una di quelle notti in cui sogliono cadere
le stelle e si risvegliano le dimensioni bambine del nostro cuore esprimendo
desideri che scaldano il cuore e, perché no, a volte inumidiscono gli occhi.
Occorre inoltrarsi a lungo nel bosco per trovare il buio. Non basta
allontanarsi dalle luci della città come un tiro di sasso. Occorre farsi
coprire dalla coltre pesante d’ombra degli abeti per trovare uno spazio di vera notte. E più
la notte è profonda e il buio è fitto e più è facile vedere le stelle cadenti e
più è facile esprimere i desideri. Ma sono così veloci a cadere quelle luci
filanti che quando un amico grida il suo “Eccola!” è già sparita nella notte
del cielo e non ti resta che attendere e sperare. Chi può fermare una stella
cadente? Chi ti offre lo spazio sufficiente per un desiderio?
Il
compito centrale del consulente è quello di riaccendere nel cliente la
speranza, una sorta di “stella cadente” (1) che può apparire nel buio della depressione:
spetta al consulente saperla intravedere e mantenerla luminosa agli occhi del
cliente, come un faro nella notte
“Stabilire
una buona relazione con un cliente non è così semplice come si potrebbe credere – continua Sparvoli – non si
tratta semplicemente di essere gentili o accoglienti ma di saper mescolare
empatia, accoglienza ed attenzione intersoggettiva: non bisogna avere la smania
di dire qualcosa di utile, efficace o “epico”. La nostra competenza non è su
una dimensione risolutiva ma è incentrata su una possibilità: la possibilità
che il cliente decida di intraprendere un cammino di conoscenza verso il suo
sé.”
Quando incontriamo una coppia che, di fronte ai conflitti, ci interpella
sulla loro gestione e chiede di essere aiutata, il nostro compito è molto
simile a colui che sussurrava ai cavalli.
Dove si usano bastone e maniere forti (per restare nella metafora dei cavalli),
subentra la suggestione di sussurrare sull’anima delle persone per stemperare
lo sguardo torvo e sospettoso, l’allergia ad ogni attesa, l’imposizione di
punti di vista così lontani dal bene comune. Siamo un po’ Soul Whisperers
(Coloro che sussurrano sull’anima!), che non è un’espressione poetica
ma compito e professione che, come ben sappiamo, non si improvvisa e domanda
continua ricerca, sperimentazione e riflessione.
Molte coppie tendono ad evitare i conflitti, a nascondere i problemi
personali e della relazione. C’è un sottile convincimento che se litighiamo
significa che c’è qualcosa che non va tra noi. Allora, si usa diplomazia nei
rapporti, pur di non far scoppiare la bomba, sotto il falso pretesto del quieto
vivere; all’apertura si oppone il silenzio, alla sincerità la finzione, e alla
spontaneità il calcolo.
· Si può arrivare a manipolare l’altro per
tenere il sistema in equilibrio.
· Si tende a fuggire il confronto aperto per
paura del litigio stesso.
Il più delle volte mancano le coordinate
comuni per poter gestire un conflitto, manca una medesima grammatica che, come
nel linguaggio parlato, permetta di comprenderci meglio; litigare è normale,
l’importante è non ferirsi. Come? Ci sono delle “regole” che favoriscono lo
sviluppo di rapporti sani. Ma queste regole vanno imparate e quanto meno
condivise.
D’altra parte, parafrasando un proverbio popolare, potremmo dire che
“dove c’è fatica c’è speranza”: sottintendendo che anche la vita di coppia
domanda un apprendistato che non può essere lasciato alla spontaneità (mito del
naturalismo) ma domanda attenzione e, forse, una “scuola”, un tirocinio, o
almeno l’accoglienza di un’azione educatrice alla vita di coppia stessa.
La consulenza è soprattutto educazione
relazionale, che passa attraverso la coniugazione dei passaggi fondamentali
della grammatica della relazione.[1]
L’elenco e la descrizione potrebbe essere lunghissimo (cfr. l’atelier 2011
sulla gestione dei conflitti fatto a Roma) e certamente non ho alcuna pretesa
di completezza. Ma come stimolo elenco qualche punto annotando una convinzione
di fondo per il consulente nel rispetto della quale si muove la nostra azione:
la relazione con l’altro è una sorta di “spazio sacro” all’interno del
quale si sviluppano le convinzioni della nostra mente, si fonda e si svela la
nostra identità, si curano le inevitabili ferite della vita, si cerca il
benessere personale e di coppia.
1.
LE BASI DELLA VITA DI COPPIA
-L’affetto: è l’insieme delle nostre
energie emotive impiegate per realizzarci fuori di noi stessi; è una tendenza
verso, un’attrazione, un’inclinazione a darsi. I sentimenti vanno coltivati. Ed
ecco il secondo pilastro della vita di coppia.
-La relazione: è la relazione che specifica il
tipo di affetto che c’è tra due persone; dice il come di questo affetto. AMARSI, ma COME?
Con una
attenzione particolare: Sperimentare la
relazione non come un mero spazio di autorealizzazione personale, ma come una
realtà nuova ed eccedente rispetto alle persone che la formano, consente non
solo di vivere l’aspetto restrittivo del vincolo che essa porta con sé, ma
anche di sperimentare appartenenza alla relazione stessa e beneficiare
dell’arricchimento che un legame genera. Attualmente sono enfatizzati gli
aspetti affettivi del legame rispetto a quelli di vincolo comune e di impegno
nella relazione (Scabini e Iafrate, 2003). Infatti in primo piano vengono posti
come "metro" della salute della coppia l’affetto, l’intimità,
l’intesa, mentre rimangono in ombra gli elementi di impegno, di dedizione al
legame e di responsabilità di cui vengono vissuti soprattutto gli aspetti di costrizione.
Questo sbilanciamento arriva a diventare una dicotomia antitetica: amore o
legame (pensiamo alle frasi "il matrimonio uccide l’amore" oppure
"stiamo così bene insieme che non vogliamo che un pezzo di carta rovini
tutto"). (Anna Bertoni)
E nella relazione
una particolare attenzione va data all’intimità
che non è una conquista o una imposizione ma è una dinamica in continua
edificazione. L’intimità costituisce l’alimento della vita a due che supera di
gran lunga l’intimità sessuale.
La vera intimità può essere identificata da
tre fondamentali elementi: l'assenza di pretese, di difese e di offese. L'intimità è una piena accettazione di sé
e del proprio partner senza condizioni, senza pretese di cambiamenti, senza
critiche o giudizi: i giudizi possono essere pensati ma rimangono sotterranei,
inattivi. L'intimità è una condizione di vita a due caratterizzata dal
benessere nel condividere il tempo, le parole, le azioni, i pensieri, i
progetti, le fantasie, i lati dolorosi, i lati gioiosi e comici della vita.
L'intimità è un
momento di vicinanza profonda dove prevale la condivisione di ciò che accade:
il dolore e la gioia, il fallimento e il successo. Ci possono essere momenti di
profonda intimità anche nella tragedia: in quei momenti difficili ciascuno
conserva la fiducia in sé e nell'altro e lo stare insieme aiuta a formulare
pensieri di speranza. "Insieme ce la faremo": è la convinzione di
ciascuno, sentita e condivisa anche se non espressa con le parole. L'intimità è
la manifestazione della comunione ed è il segno della maturità della vita di
coppia.
È una condizione che può essere raggiunta e
conservata anche nelle difficoltà; ma non è una conquista permanente ed è
soggetta a pesanti oscillazioni. Difficoltà sociali esterne e difficoltà psicologiche interne relative a
ciascun membro della coppia possono portare a pericolose regressioni, a
riattivare vecchi schemi comportamentali caratterizzati da accuse, delusioni,
sensi di colpa, inevitabili incomprensioni
Il tema dell’autonomia è fondamentale nella gestione dei conflitti.
Rispettare l'autonomia dell'altro per favorire la reciprocità. Quando si ama
una persona è forte la tentazione di imporle i propri modi di vedere e di
agire. Si ha l'impressione di poter raggiungere più sicuramente e più
rapidamente lo scopo che si crede migliore per lei. Ma allora l'altro non è
rispettato come persona: credendo di amarlo, si ama se stessi. Nessuna persona
infatti si può amare, manipolandola come se fosse una cosa. Amare un altro non
è volerlo a propria immagine e somiglianza, ma accoglierlo come è,
accompagnarlo nel suo cammino. E' questo l'aiuto più prezioso che gli si può
offrire. Amarlo è creargli intorno un ambiente che gli permetta di esistere
secondo ciò che è. Quando uno è sicuro di essere amato per quello che è,
malgrado il negativo e i limiti che sa di avere, ha il coraggio di essere se
stesso, di lasciar esistere ciò che a volte è assopito nel suo profondo. Questo
è l'inizio di ogni conversione, di ogni cambiamento. Rispettare la sua
autonomia non vuol dire lasciarlo fare ciò che vuole. Occorre essere realisti.
In alcuni casi l'amore spinge a stimolare, incoraggiare; in altri a esprimere
il proprio disaccordo e rischiare il confronto; in alcuni momenti chiede di
farsi attento nell'ascolto per permettere all'altro di esprimersi, di esplorare
più a fondo ciò che vive e scoprire le eventuali soluzioni. In certi giorni
amare sarà semplicemente essere là, con una presenza discreta, disponibile, ma
che non prende l'iniziativa di intervenire, perché l'altro ha bisogno di
solitudine e di libertà.
Per tornare alla metafora delle stelle possiamo dire che:
L'idea di
riconquistare l'intimità può essere tenuta presente nei momenti più difficili e
può diventare la stella polare della vita di coppia per uscire dalla passività,
dall’esasperante sopportazione e dal grigiore della sopravvivenza affettiva.
(Montuschi,
Costruire la vita di coppia).
-Il progetto: Risponde alla domanda
cruciale: AMARSI PERCHÈ? Sono i VALORI, gli ideali della coppia a
definire, e orientare il COME amarsi, cioè a qualificare la relazione da
costruire, e a togliere ambiguità all’affetto, a tenerlo vivo grazie al
progetto scelto.
2.
IDEALIZZAZIONI E MITI DA SFATARE
Portiamo dentro dei miti inconsci che, se venissero espressi non sarebbero
accettati, perché considerati “ridicoli” o immaturi, inadeguati, dalla stessa coscienza, ma ci sono ed agiscono, nei
sotterranei della relazione, e fanno da freno alla
crescita del sistema coppia, all’adattamento realistico della coppia alle
situazioni. Inoltre non aiutano ad
affrontare e gestire i naturali conflitti con maturità.
v
La coppia “romantica” come nido caldo, risposta ad ogni ferita.
v
La coppia che non ha divergenze.
v
La coppia “sempre insieme” dove le differenze sono percepite come ostacoli.
v
La coppia alla ricerca sempre di un colpevole per le cose che non vanno.
v
La coppia immobile e poco disponibile al cambiamento.
v
La coppia nella quale inconsciamente (?) l’uno cerca il cambiamento
dell’altro.
3.
LEGGERE LE
PROPRIE ED ALTRUI EMOZIONI
E’ un passaggio fondamentale nella metodologia
consulenziale e nella prassi comune. La vita di coppia è un groviglio di
emozioni la cui gestione può causare tante ferite e segnare solchi indelebili.
La relazione consulenziale può aiutare a:
Riconoscere
Verbalizzare
Accogliere l’altro
Assumersi le proprie responsabilità
Un cammino di coscientizzazione che aiuta la persona non solo ad accettare le ferite e affrontare i
conflitti ma anche a viverli come un dono e un’occasione di crescita.
Imparando ad attivare un continuo processo di consapevolezza delle mie e
delle altrui emozioni sarà possibile evitare la confluenza (assenza di
confini) con chi mi sta di fronte, l’introiezione inconsapevole delle sue
emozioni o la proiezione, anch’essa inconsapevole dei miei sentimenti su di
lui. (Cavaleri).
A condizione che
l’espressione delle nostre emozioni sia sempre sostenuto dal rispetto reciproco: Nella vita di coppia si può —
paradossalmente—fare a meno dell'amore ma non si può fare a meno del rispetto. Senza l'amore la vita di
coppia è piatta, ma senza rispetto è sanguinante; senza l'amore la vita di
relazione non cresce, ma senza
il rispetto comincia a franare fino ad arrivare al crollo. L'amore vero, a ben vedere, è anche
rispetto vero. Per sua natura l'amore ha una forte componente emozionale: per
questo subisce oscillazioni e non sempre è governabile con la ragione e con la
volontà. Il rispetto, invece, si concretizza in un insieme di comportamenti che
sono sotto il controllo della decisione della persona.
Il rispetto va comunque chiarito nel suo
significato per evitare che venga sottovalutato o impoverito. Il rispetto non
può infatti essere ridotto ad un formalismo, a superficiali "buone
maniere", o ad un semplice tratto temperamentale. Non è nemmeno un gesto
unilaterale che consente all'altra persona di sentirsi rispettata o non
rispettata. Il rispetto è qualcosa di più e di più profondo: ha una doppia
valenza ed è una costruzione "a due". (Montuschi).
In un percorso di consulenza familiare si può imparare il vero rispetto
di sé che si prolunga nel rispetto verso l’altro.
4.
LA RECIPROCITÀ COME CIFRA
DELLA MATURITÀ DI COPPIA
La relazione con
l’altro non è qualcosa che “semplicemente e spontaneamente accade” sorretta da
una naturale simpatia o feeling, ma è come un’opera d’arte composta a “quattro
mani”: dal comune lavoro dei due artisti emergerà una terza realtà a sé stante,
non espressione esclusiva dell’uno o dell’altro, ma solo del loro reciproco interagire, della loro relazione di reciprocità.
Ciò che rende complessa la dinamica della reciprocità, attraverso la quale si concretizza la maturità delle
persona umana nella sua individualità, mai sganciata dalla sua relazionalità e
il conseguente senso di pienezza – benessere della persona stessa è la differenza. (Vedi, dal numero 3 del Consulente Familiare, l’estratto del libro di
J.G. Lemaire: Vita e morte della coppia.).
L’emergere sempre più cosciente dell’alterità, è alla base anche della
crescita psicologico-relazionale della coppia. Sto usando il termine differenza
che ormai è preferibile a diversità. Il primo indica la capacità di portare
l’altro verso l’unità; il secondo sottolinea gli aspetti altri che portano alla
divergenza e quindi ad un allontanamento.
La questione della differenza è così essenziale che, darla per scontata
(e di questi tempi un po’ superata) rischia di cancellare ogni possibile
progresso di maturazione La differenza è la base della reciprocità e quindi di
quel tipo di relazione che è paradigma, modello
di ogni relazione sociale. Nella relazione di reciprocità l’uno ha cura di
guardare l’altro come “altro da sé” ma anche come “altro di sé” (ciò è
fondamentale per l’espressione e la realizzazione di sé).
Afferma a riguardo
G. Solonia: “Nella cultura della relazione l’altro è sempre l’” oltre” che mi
rimanda a mondi inesplorati della mia umanità. Un maestro del dialogo come Gadamer pone a condizione di un
genuino dialogo l’approdo ad una “fusione di orizzonti”, e cioè ad un orizzonte
che non è il mio (sarebbe il frutto di una mera vittoria sull’altro) né il
“tuo” (si tratterebbe, da parte mia, di una prematura rinuncia all’unicità).
L’orizzonte nuovo si genera solo quando i due orizzonti si sono confrontati nel
rigore di uno scontro che nasce dal riconoscimento reciproco. Solo chi si
separa da appartenenze simbiotiche può essere se stesso; ma solo chi perde la
propria soggettività nella relazione rinasce ad orizzonti inesplorati (G. Solonia, Sulla felicità e dintorni. Tra corpo, tempo e parola, Argo, Ragusa
2004, p.111-112)
La dinamica della
reciprocità è un “reciproco
danzarsi intorno” (danza pericoretica):
Ø
Lo accolgo
Ø
Lo sostengo nella
sua diversità
Ø
Ed egli nel
contempo assume il medesimo comportamento nei miei confronti
Ø
Io sono “attento”
all’altro
La metafora della danza
pericoretica esprime al meglio, quasi in maniera plastica, ciò che avviene
nel dinamismo proprio della relazione di reciprocità. In questa antica danza
mediterranea il movimento essenziale e ridondante consiste nel fatto che
ciascuno dei danzatori si muove intorno all’altro, in un continuo succedersi di
figure sostanziate dal “reciproco danzarsi intorno”.
Si entra nel conflitto, se la coppia esaspera uno dei due poli:
Troppa differenziazione. Ognuno
si fa i fatti suoi: due identità che restano isolate (sposi, ma non sposati).
Troppa comunione: si arriva alla
simbiosi. In entrambi i casi, quando non è mantenuto l’equilibrio tra
differenza e comunione all’interno della coppia la relazione costruita non è
una buona sintesi, ma relazione immatura che ostacola la trascendenza, la
realizzazione del bene comune, il raggiungimento del fine (dono di sé gratuito)
che resta proclamato, ma non vissuto.
Quando la
comunicazione umana si interrompe, i comunicanti invariabilmente fanno ricorso
alla reciproca accusa di malattia mentale o di malvagità. Ciò si riscontra
specialmente nei conflitti coniugali dove ambo i partner sono completamente
convinti che lui (o lei) sono senza colpa, e poiché ci sono solo due persone
coinvolte, tutta l’infelicità dell’uno deve essere colpa dell’altro: tertium
non datur. Quello che essi di solito non riescono a capire è che esiste una
terza entità, vale a dire il loro rapporto, che è il vero colpevole o il vero
malato (3).
5. RICERCARE LA COERENZA E
OFFRIRE LA DISPONIBILITÀ ALLA TRASFORMAZIONE
E’ questa una regola fondamentale della
grammatica della relazione (basilare come la congruenza nella consulenza) e
nella gestione dei conflitti. Essere autentici, veri, coerenti e integri,
centrati nell’intimo del nostro sentire e del nostro volere, coniugando
saldamente emozioni e scelte, sentimento e responsabilità; in una parola
ricercare non di superare il limite ma di leggere il limite come lo spazio
straordinario offertomi per conquistare me stesso.
L’essere
veritieri significa avere la tendenza a conformare le nostre parole a ciò che
realmente pensiamo. Per conto mio l’essere sinceri, più che nel dire la verità,
consiste nell’avere l’intenzione di comunicarla e nell’imporsi di avere il
coraggio di dire tutto quello che si ha il coraggio di fare, nel tendere a
conformare le proprie parole al proprio pensiero.
Insomma,
io ritengo che non si debba dire sempre tutto quello che si pensa, ma che sia
sempre necessario pensare tutto quello che si dice.(4).
La coerenza ricercata nella relazione parte
dalla consapevolezza dei bisogni
fondamentali di ogni persona e di ogni coppia che, nella gestione dei
conflitti giocano un ruolo molto importante e sono spesso alla radice di
incomprensioni e di pretese. Il linguaggio del non detto è frutto molto spesso
di questi bisogni di base
insoddisfatti.
All’interno di questa ricerca della coerenza
nella relazione, si apre il varco alla possibilità del cambiamento che, nella
relazione d’aiuto, si declina prevalentemente come trasformazione.. Trasformare è qualcosa di diverso da
cambiare; nel cambiamento c’è un elemento di violenza, mentre il trasformare è
decisamente più dolce. Quando crediamo di dover cambiare e continuamente
modificare noi stessi, dietro questa idea sta l’atteggiamento che, così come
siamo, non andiamo bene, che dobbiamo renderci diversi, fare di noi una persona
diversa. Trasformare, invece, significa che tutto in me può essere, che tutto è
buono e ha un senso, che le mie passioni e le mie malattie hanno un senso,
anche se talvolta mi tiranneggiano. Trasformazione significa che l’autentico deve
aprirsi una breccia nell’inautentico, che la verità deve aprirsi una breccia
nell’apparenza. Le mie passioni e le mie malattie reclamano sempre a gran voce
un bene prezioso, vogliono portare la mia attenzione sul fatto che, dentro di
me, vuole vivere qualcosa a cui non ho ancora concesso di esistere. Se vengono
trasformate, proprio nella mia passione e nella mia malattia trovo una nuova
qualità della vita, una vitalità e un’autenticità nuove.
La trasformazione
(metamorfosi) dell’essere umano avviene attraverso l’incontro con l’altro. Ogni
incontro ci trasforma. Nell’incontro con una
persona scopriamo chi siamo veramente, entriamo in contatto con la nostra
natura autentica.
La mia trasformazione modifica la mia relazione
e il cambiamento della relazione si ripercuote sul processo della mia
maturazione e della mia crescita.
Quella che riceviamo in dono nell’incontro è, in
fondo, sempre una trasformazione d’amore. L’incontro risveglia in noi la
capacità di amare: mette in moto un processo che noi stessi non siamo in grado
di attivare. Abbiamo bisogno dello sguardo amorevole, dell’incontro privo d
pregiudizi, per scoprire il tesoro dentro di noi e disseppellirlo. Scopro il
mio Io proprio nel Tu. L’incontro con il Tu mi fa riconoscere qual è il mistero
più profondo del mio Sé. E ottiene che il mio Sé emerga chiaramente dal caos
dei miei pensieri e sentimenti, dalla confusione dei miei ruoli e delle mie
maschere, crescendo sempre di più nella sua vera forma.
-
RICONOSCERE I TEMPI E IL
RITMO DELLA RELAZIONE
Ogni relazione, nello snodarsi dei giorni tra ferialità e festa, ci vede
co-protagonisti (insieme agli altri) nell’attraversamento di alcune fasi ben
definite che è necessario conoscere e leggere così da contestualizzare gli
eventi conflittuali trasformandoli in luoghi di crescita. Rispondere alla
domanda: in che stagione della mia
relazione ci troviamo ora? Può certamente aiutare ad affrontare un
eventuale conflitto.
Normalmente ogni esperienza relazione può essere scandita su quattro
tempi simili alle quattro stagioni (6) più un tempo di rifondazione e di
rinascita.
Ø
Accadimento –risveglio–Primavera
E’ la fase caratterizzata da un forte coinvolgimento emotivo, da un
entusiasmo creativo, vivace, aperto alla novità e, per molti versi appagante.
L’ottimismo, non esente da problemi, prevale su altri sentimenti e la speranza
è la virtù più coltivata perché costituisce il motore delle varie scelte.
Atteggiamenti positivi determinano azioni positive e azioni positive generano
emozioni positive.
Esperienza –maturazione – Estate
Il tempo della soddisfazione, della comunicazione costruttiva,
dell’accettazione delle differenze e della disponibilità ad una crescita e ad
una formazione permanente. Si fa esperienza “reale” dell’altro ma in senso
positivo. Gli stessi conflitti si risolvono in modo costruttivo nella
valorizzazione delle rispettive risorse.
Timore – Incertezza – Autunno
E’ il momento in cui impariamo a conoscere le ambiguità dell’altro, le
contraddizioni e tutto quanto di negativo sembrava “nasconderci”: Non risponde
più alle nostre attese. Emozioni come: timore, tristezza, apprensione,
scoraggiamento, risentimento, sensazione di non essere apprezzati e, al
contrario, di essere trascurati, tentano i due partener verso la fuga o la
rassegnazione. E’ in questa fase che spesso ricorrono all’intervento della
consulenza.
Ø
Inflessibilità – Chiusura – Inverno
Cosa spinge una relazione di coppia verso la stagione invernale?
L’inflessibilità, la mancanza di disponibilità a considerare i punti di vista
dell’altra persona, alimentando il distacco, la freddezza, il rancore. La
comunicazione spazia dal silenzio al litigio e a, volte si passa dall’abuso
verbale e psicologico a quello fisico.
E’ in un contesto come questo che una coppia, consapevole della stagione
che vive può intraprendere passi costruttivi che li conducono ad una forza maggiore
e ad una disponibilità alla trasformazione.
Ø
Rinascita - Rifondazione
Questa fase ha inizio soltanto dopo che abbiamo fatto “esperienza”
dell’altro e abbiamo deciso di non “proiettare” su di lui i nostri limiti, di
non delegare a lui la soluzione dei nostri problemi. E’ un tempo di rinascita
che incomincia quando rinunciamo definitivamente
a quello che dell’altro avremmo desiderato ricevere e che egli, non ha saputo,
o potuto, o voluto dare. La vera rinuncia avviene quando siamo capaci di
“elaborare la rabbia e il risentimento che sono in noi, accogliendo l’altro
così come egli è. L’altro, da “capro espiatorio” si può trasformare in
“compagno di viaggio”, nei cui limiti sapremo riconoscere una comune
“condizione di insufficienza e di inadeguatezza”.
Aprendoci di nuovo alla relazione con l’altro ci esponiamo al rischio di
una scommessa che è possibile perdere (l’altro può rifiutare questa apertura e
non ballare con noi). Questa incertezza risveglia le nostre fragilità e i
nostri fantasmi esponendoci ad un nuovo conflitto con l’altro. Ma se accettiamo
di esporci a questo rischio, possiamo trasformare l’incertezza in un valore
fertile e vitale.
Molte “patologie
relazionali”, dalla crisi di coppia ai conflitti familiari (…) sono
riconducibili alla nostra “cecità” nel riconoscere i tempi del rapporto che ci
lega agli altri, soprattutto ad una nostra rigida “chiusura” a quello che
abbiamo definito il tempo della rinascita, quando si tratta di mettere in
discussione noi stessi, di rinunciare a comodi “capri espiatori, di dire addio
al nostro sterile vittimismo (7).
Condizione indispensabile per permettere al tempo della rinascita di
sviluppare il suo dinamismo positivo è evitare la fretta e l’impazienza e, al
contrario, coltivare la pazienza e la perseveranza. Virtù forti tutt’altro che
passive.
Quando le spie rosse dell’amore (8) si accendono, si cerca
immediatamente la causa e si vuole una soluzione rapida. Ma il tempo della
rinascita non fa salti, procede lentamente dalle radici (inteso come senso)
all’albero (inteso come frutti – le azioni).
La descrizione delle stagioni o i tempi della relazione segue,
evidentemente un criterio espositivo particolare. La vita è molto più complessa
e mischiata tale da far vivere, a volte, più stagioni contemporaneamente. Questo
è il bello del mistero “terzo” che è la relazione stessa.
6.
SAPER DECODIFICARE E GESTIRE I CONFLITTI
I
conflitti “luogo” di relazione
Abbiamo detto che è inevitabile che tra persone che convivono si
sviluppino discussioni e diverbi in quanto ciascuno cerca il bene e talvolta lo
fa a partire “solo” dalla propria prospettiva, che sembra essere la più
adeguata. Il problema non è tanto il conflitto in sé, ma quanto questo possa
diventare costruttivo! Sì, il termine costruttivo sembra essere in antitesi con
la parola conflitto; eppure non ci sono conflitti dannosi di per sé, a meno che
non nascano da intenzioni cattive del cuore dell’uomo. L’autenticità del
conflitto dipende da come esso viene gestito, e dunque dal desiderio di cercare
il “bene in sé” anziché il bene “per sé”, per i propri interessi, per le
proprie idee, per la propria autostima. Perciò il conflitto può paradossalmente
divenire il luogo dove le relazioni si purificano, anche attraverso la
sofferenza e insieme il luogo dove l’amore diventa maestro e testimone.
Il conflitto abita là dove vivono e operano persone che condividono
qualcosa di importante. Il vissero felici
e contenti appartiene a quei miti a cui abbiamo fatto cenno e che ben
presto svaniscono o che comunque devono essere sfatati. Il tema del conflitto
non è far sì che non ce ne siano ma piuttosto di attrezzarsi a come
affrontarli. E’ forse necessario
domandarsi come entriamo nel conflitto, come ci stiamo dentro e come ne
usciamo.
Il
conflitto esplode spesso all’interno di una crisi più ampia. E noi sappiamo che
la crisi è una situazione di passaggio, costitutiva di ogni situazione vivente.
Ogni passaggio è scomodo, difficile e anche pericoloso. In cinese “crisi” si scrive con due caratteri: pericolo e opportunità.
Il pericolo ci mette in guardia, e questo può farci tirare indietro, ma può
anche disporci ad avanzare. Il rischio ci sollecita, ma il suo carattere
minaccioso ci può paralizzare. Da qui la seconda parola, “opportunità”, la
quale indica che tale situazione può essere un’occasione per fare un salto di
qualità e di crescita (9).
Qui rimando ad altri studi la descrizione dei vari passaggi o regole.
Ciò che a noi forse oggi interessa sono i passaggi da fare in consulenza
familiare.
-
Ascoltare
l’espressione delle emozioni senza reprimere i sentimenti, recuperandone il
controllo e aiutando con la riformulazione a esprimere pensieri positivi
possibili.
-
Con il metodo dell’intuizione
evidenziare gli elementi importanti così da limitare l’oggetto del conflitto.
-
Aiutare la
descrizione in prima persona evitando di supporre le motivazioni dell’altro/a.
(questo potrebbe creare uno strappo più profondo che è la mancanza di fiducia).
-
Attingere sempre al
qui ed ora per evitare di andare nella cantina della memoria avvelenata e tirar
fuori eventi ammuffiti ma ancora presenti.
-
Offrire il “potere”
di tagliare col passato (Vedi la scena di Mission e di colui che si porta
dietro il fardello dei suoi errori) e la responsabilità personale nel
conflitto.
-
Individuare i
comportamenti che ciascuno deve migliorare per risolvere il conflitto.
-
Facilitare la
comunicazione e i livelli di interazione (sensazioni, opinioni, sentimenti,
intenzioni e azioni) e l’espressione totale dei bisogni.
-
Individuare un
contratto personale e di coppia circa gli obiettivi e i cambiamenti possibili.
-
Verificare il raggiungimento
degli obiettivi intermedi e accettare gli eventuali fallimenti.
-
Chiarire pretese,
difese, e eliminare le offese.
-
Da un punto di vita
pedagogico evidenziare i valori comuni e condivisi e lavorare sul senso.
-
Noi consulenti
siamo chiamati, di fronte alla complessità delle vicende ad utilizzare la “grammatica della semplicità”, secondo
una splendida espressione di papa Francesco in Brasile. E per noi la grammatica
della semplicità non è una banalizzazione del nostro metodo ma una
purificazione di esso da alcune sovrastrutture che, a volte, possiamo essere
tentati di inserire.
7.
IL PERDONO COME FORMA DI SUPERAMENTO DEL
CONFLITTO
Devo ammettere che l’accenno (sarebbe pretenzioso, infatti, pensare di
trattare questo tema all’interno di una presentazione che tocca tanti aspetti)
al perdono suscita in alcuni una certa allergia o quanto meno una certa
avversione quasi si trattasse di un tema “religioso” o spurio rispetto alla
prassi professionale di un consulente familiare. Eppure l’esperienza ci mostra
in molti casi come il perdono sia una via di “guarigione” tutt’altro che
trascurabile. (Sarebbe interessante
dedicare un tempo prolungato di formazione sul perdono).
Occorre smontare le false idee sul perdono, quelle legate ad una visione
passiva o buonista, rassegnata, dove il livello di svalutazione si innalza
aggravando il distacco tra i due partner.
Chi di noi non si è incontrato con persone che, di fronte ad un danno
vero e proprio, non lo riconoscono o non gli assegnano importanza o si
rassegnano convinti che non ci si può fare niente o svalutano la propria
capacità di cambiare la situazione. Questi atteggiamenti passivi nulla hanno a
che fare con il perdono. Sono piuttosto desideri di quiete, tipico di quelle
persone per le quali la priorità nella vita è evitare le discussioni, i litigi,
i conflitti, la rabbia, la disperazione, il dolore… Perdonare non è dimenticare. Il “rimuovere è un meccanismo di difesa utilizzato dal nostro io quando non riusciamo
a vivere l’angoscia provocata dai comportamenti degli altri o dalle nostre
pulsioni. Ma questa è una dinamica inconscia. Consapevolmente non possiamo
decidere di dimenticare il danno subìto; esso è parte della nostra storia.
Rassegnarsi passivamente ad azioni dannose del partner può nascere dalla paura,
paura di un pericolo reale o immaginario. Il perdono è un processo attivo, per
certi aspetti inquietante, che nasce dall’elaborazione di vissuti emotivi la
cui intensità è proporzionale all’intensità dell’azione offensiva (10).
Il perdono non è un
atto ma un processo che richiede tempo. Pretendere risultati immediati su sé stessi è forse pretendere troppo
con la conseguenza opposta di scatenare vendetta contro se stessi o un
lasciarsi divorare da astio e rancore avvelenante.
Il perdono parte sempre da se stessi perché il primo nemico da perdonare
siamo noi. (E qui si potrebbe aprire il capitolo sul concetto di colpa e di
responsabilità). Ed è questo che poi si riflette sull’altro.
La consulenza è il
luogo dove permettiamo alla coppia di prendere consapevolezza dell’eventuale
danno subito e arrecato e lasciare libero spazio alle emozioni. Questo è un elemento da non svalutare, al
di là della consapevolezza di chi ci ha ferito.
L’elaborazione
della rabbia è il secondo
momento della consulenza, in cui prendiamo le distanze giuste dall’altro e
canalizziamo questa collera verso un investimento di vita costruttivo. Non si
tratta di rispondere alla ferita con un’altra ferita a nostra volta. Ma di non
permettere un’invasione ulteriore nella mia esistenza.
Lo sguardo oggettivo su ciò che è accaduto, sul perché l’altro mi ha
ferito, è ancora un passo successivo.
Forse non ha fatto altro che trasmettere le ferite che a sua volta aveva
ricevuto. Mi sforzo quindi di capire me stesso: per quale motivo il
comportamento dell’altro mi ha fatto soffrire così tanto. Forse l’altro ha
toccato in me un’antica piaga, un posto dove non mi sono ancora riconciliato
con me stesso. Questa riflessione diventa un invito a occuparmi di questa zona
così vulnerabile e ad accettare me stesso con questa mia vulnerabilità (11).
E’ il momento in cui si può rinunciare alla vendetta, alla richiesta di
risarcimento, al dimostrare che si ha ragione (le tregue armate sono sempre
pericolose!). Ci si libera dal legame che lega l’altro a noi e con un atto di
forza (non di debolezza perché tale è il perdono) rinuncio a girare attorno alle
mie ferite accettando il limite di una non totale pacificazione immediata con
me stesso. Questo permette di impegnarsi nel qui ed ora senza fardelli
ulteriori.
Infine, l’ultimo passaggio è il perdono vero e proprio che trasforma le
ferite in opportunità:
Là dove mi hanno
ferito sono crollate le mie maschere e ho potuto mettermi in contatto col mio
vero Sé. Le piaghe mi fanno sentire vivo, mantengono
sveglia in me la nostalgia dell’Infinito e mi aprono verso le persone con le
loro ferite. Dato che io stesso sono stato ferito, posso meglio comprendere le
altre persone con le loro piaghe.(E il consulente sa bene quanto è vera questa esperienza).
Gli antichi greci
sapevano già che solo il medico ferito poteva veramente guarire.
Se le mie piaghe vengono trasformate in perle, non porto più rancore contro
quelli che mi hanno ferito. Allora il perdono non è soltanto qualcosa di
passivo, ma rende possibile la scoperta delle mie energie e mi dà fiducia di
imprimere in questo mondo la traccia inconfondibile e del tutto personale della
mia vita.
Sintetizzando, con altre parole, un itinerario
di perdono:
Ø
LA FEDELTA’ VALORE:
non arrendersi al non amore.
Ø
AUTOPERDONARSI:
imparare a curare le proprie ferite.
Ø
INIZIATIVA
PERSONALE: non aspettare che sia l’altro a COME ricominciare.
Ø
ONORA IL PADRE E LA
MADRE: l’esercizio del perdono comincia sempre verso i propri genitori,
sostituendo il lamento con la gratitudine. Il perdono concesso ai genitori è
una promessa fatta ai figli.
Ø
LA FIDUCIA IN SE E
NELL’ALTRO: il perdono suppone la fiducia che l’altro possa vincere il male.
Ø
GUARDARE AVANTI: il
perdono non è tale se non c’è novità. Porre gesti positivi.” Tu non sei la
somma del tuo passato ma una possibilità immensa di futuro”.
Qualche volta mi viene il dubbio che la società contemporanea abbia
smarrito i sentimenti più semplici e puri. Quanto vorrei che tornasse di moda
l'arrossire per l'errore o la gaffe compiuta e la capacità di dire
"scusa", ho sbagliato!
Una conclusione azzardata potrebbe essere (a modo di ossimoro!) un
elogio del fallimento! La via del fallimento – direbbe Massimo Recalcati – è la
via autentica della formazione (12). La formazione della persona come quello
della coppia passa attraverso lo sbattere il muso contro il muro, l’urtare gli
spigoli dell’amarezza e sentire che ti manca la terra sotto i piedi. E’ la via
purificativa che da millenni la sapienza ebraico – cristiana indica come
necessaria per una nuova fioritura. E’ legge di natura che un seme muoia per
produrre una spiga.
E qui mi piace riprendere il simbolo del labirinto, come metafora del
viaggio della coppia. Uno dei labirinti scolpiti nella pietra più conosciuto è
quello del duomo di Lucca. Essendo “scritto” su pietra occorre percorrere la
sua via verso l’uscita, verso la luce con un dito. Ci si può smarrire,
scoraggiare, deprimere. Ma toccare i solchi della strada è percorre le tappe
della propria esistenza cercando un filo conduttore, un filo guida.
Quante volte ho visto coppie, giovani da più tempo, accarezzare le rughe
dei loro volti, lentamente, dolcemente, quasi a percorrere le strade del loro
labirinti, i solchi dei loro fallimenti, delle loro frustrazioni; percorsi
fatti insieme nel buio, notti insonni e litigate furibonde. Pianti soffocati e
pace fatta senza nascondere la fatica. Kenosis, spogliazione di sé per qualcosa
di più grande. Il tuo volto, il tuo corpo sono labirinti che domandano pazienza,
delicatezza perché sono le strade per arrivare a intuire il senso di un
percorso e la direzione per continuare.
Devo dire che dopo aver percorso il labirinto posto sulla facciata, se
varchi la porta del Duomo puoi entrare nel tempio del Volto Santo e vedere un
fallimento rivestito di vesti bellissime e preziose. E’ il Crocifisso (il
fallimento delle relazioni) rivestito di vesti nuziali (la relazione più alta).
E’ metafora per il non credente e intuizione di fede per il credente che
l’intimità della relazione passa attraverso lo spogliamento del proprio io
vissuta come dono e non come condanna.
“Voglio poterti amare senza
aggrapparmi, apprezzarti senza giudicarti, raggiungerti senza invaderti,
invitarti senza insistere, lasciarti senza senso di colpa, criticarti senza
biasimarti, aiutarti senza umiliarti; se vuoi concedermi la stessa cosa allora
potremo veramente incontrarci ed aiutarci reciprocamente a crescere”.
(Virginia Satir) (13)
(*) Alfredo Feretti, sacerdote
o.m.i., esperto in relazioni familiari e di coppia, è Direttore del Consultorio
Centro la famiglia di Roma.
NOTE DEL TESTO.
1. Cfr. M. SPARVOLI, Costruire una relazione
terapeutica, di (Marco Sparvoli, è dirigente del Servizio Psichiatrico di
Diagnosi e Cura dell'Ospedale San Camillo-Forlanini a Roma).
2.
Cfr. P. CAVALERI, Vivere l’altro. Per una
cultura della relazione.
3.
P. Watzlawick, Presentazione del libro di G. GULOTTA, Commedie e drammi nel matrimonio.
4. G. GULOTTA, op.
cit. p. 26-27.
6.
.G.Chapman. Le quattro stagioni del
matrimonio.
7.
Op. cit. p. 30. Scrive Solonia: “…La relazione si invera e si rigenera quando
ogni partener lascia progressivamente i calzari del potere e della seduzione,
della dipendenza e dell’accusa, per entrare in una terra a lui sconosciuta: la
“terra di nessuno” dove ci si riscopre - finalmente e unicamente – compagni di
viaggio. Il cuore misterioso e inesauribile del vivere insieme si colloca là,
dove si geme per generare l’unicità che alla relazione si consegna e per dar
vita ad una relazione che l’unicità accoglie e custodisce.
8.
R. VENTRIGLIA, Le spie rosse dell’amore.
9.
Cfr. J. MELLONI, La crisi come categoria antropologica e spirituale, in Civiltà
cattolica 2915-3916.
10. R.VENTRIGLIA. Le spie rosse dell’amore. P.42.
11.
A. Grun, Guarigione e Riconciliazione.
12. M. RECALCATI,
Cosa resta del padre?.
13. Virginia Satir (Neillsville, Wisconsin, 26 giugno 1916–10 settembre 1988) psicologa statunitense e famosa psicoterapeuta, è
conosciuta per i suoi studi e per la pratica clinica, che ebbero come
riferimento la metodologia della terapia familiare.
* * *
Nel
prossimo numero pubblicheremo gli argomenti che sono stati oggetto dei quattro
gruppi di lavoro e gli approfondimenti che i conduttori e i partecipanti hanno
potuto effettuare su tali temi.
Materiali e strumenti formativi
delle giornate di studio e della rivista
Tutti i soci interessati ad
approfondire i materiali e gli strumenti presentati durante le Giornate di
studio e in Rivista sono pregati di
scrivere all’Associazione che provvederà ad inoltrare le richieste agli Autori.
Le risposte verranno date tramite la rivista
e il blog in modo che tutti i soci possano beneficiare degli
approfondimenti. Vi ricordiamo che i materiali e gli strumenti pubblicati in
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degli Autori che li hanno presentati e
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